L’autrice

“Non è forse assolutamente illecito sfondare quella parete che è posta fra le fantasie dei letterati e la realtà del mondo?”

Christa Wolf
La scrittrice Christa Wolf

“Nessuno può sfuggire o prescindere dagli effetti e dai condizionamenti che l’infanzia e l’adolescenza esercitano successivamente sulla sua vita, tanto più se l’infanzia è stata determinante nel generare certi comportamenti che si vorrebbero dimenticare e negare, soprattutto di fronte a se stessi. Delineare il processo di maturazione della mia generazione, e anche – se si è interrotto – ricercarne le cause, è un tema complesso. Per coloro che sono cresciuti negli anni del fascismo non esiste una data a partire dalla quale esso possa essere definito ‘superato’. La letteratura ha il compito di descrivere questa fase – il che può anche voler dire anticiparla, forse contribuire a determinarla -: una rielaborazione sempre più profonda e dunque sempre più personale di questo mostruoso fenomeno epocale. Certo, si tratta di un’operazione molto difficile e proprio questa resistenza indica quanto l’argomento sia ancora radioattivo. Noi ci siamo forse abituati proprio per questo a descrivere il fascismo come un “fenomeno” esterno a noi e definitivamente scomparso con la distruzione dei suoi centri di potere e delle sue strutture organizzative? Non ci siamo a lungo sforzati di delegare a ‘gli altri’ il passato fascista, per definirci noi unici eredi della resistenza e della tradizione antifascista?” (Christa Wolf, Die Dimension des Autors. Gespräch mit Hans Kaufmann).

Tali domande restituiscono con immediatezza alcuni tratti decisivi di una delle figure più interessanti della letteratura tedesca contemporanea: la centralità del passato e la riflessione sulle proprie esperienze di cittadina della RDT.

Nata a Landsberg/Warthe – oggi Polonia – nel 1929, Christa Wolf vive alla fine della guerra l’odissea della fuga dalle zone orientali del Reich attraverso la Germania distrutta. Proveniente da una famiglia piccolo-borghese – il padre, Otto Ihlenfeld era commerciante – essa frequenta il liceo in una cittadina del Meclemburgo, ma appena ventenne si iscrive alla SED, il partito socialista unitario che presiede alla fondazione della RTD (1949). Passa successivamente a Halle e a Lipsia, dove studia germanistica con Hans Mayer, inserendosi rapidamente nella politica culturale di quegli anni: le sue prime recensioni compaiono infatti sul “Neues Deutschland”, il quotidiano della SED, a partire dal 1952. Questi si configurano come anni travagliati per la RDT: Berlino, il cui settore orientale è ora capitale della giovane repubblica, diventa con l’inizio della guerra fredda il centro delle tensioni tra i due blocchi. Oltre che una sorta di vetrina di quei paradisi capitalistici successivamente ironizzati dalla Wolf nei primi romanzi, il settore occidentale consente l’incetta sistematica dei generi di prima necessità prodotti nei territori dell’est, aggravando la già precaria situazione interna. D’altra parte il difficile decollo della RDT, la cui economia è gravata dai pesanti risarcimenti di guerra dovuti all’URSS, provoca a sua volta un continuo flusso migratorio verso occidente, con un dissanguamento progressivo della forza lavoro più qualificata: un aspetto, questo, che la Wolf rappresenta nel Geteilte Himmel attraverso la fuga oltr’Elba del chimico Manfred Herrfurth.

Sono questi gli anni in cui la giovane germanista si affaccia sulla scena letteraria, nella quale i letterati non cercano di ripartire da un “anno zero”, quanto piuttosto riallacciarsi ai momenti progressisti della Germania pre-nazista per ricostruire una cultura tedesca democratica e antifascista. È in questo clima che si viene formando la Wolf, è attraverso le letture marxiste e sull’ethos vitale della ricostruzione che essa matura la propria coscienza socialista.

Nel periodo che segue il primo dopoguerra, il clima politico cambia e il dibattito ideologico e letterario langue. Le direttive culturali rivolte alle nuove generazioni si fanno sempre più tassative: l’arte deve avere basi marxiste-leniniste, esprimere consenso al partito, incoraggiare una visione positiva della realtà e trattare temi che siano tipici della rivoluzione socialista. La Wolf si preoccupa dunque del progressivo irrigidimento politico, del fatto che la SED intervenga in modo sempre più massiccio condannando come decadente e perversa la sperimentazione formale e imponendo direttive ispirate al realismo socialista sovietico degli anni ‘30.

Per quanto riguarda gli anni cinquanta la Wolf, che si sposa nel 1951 con il germanista Gerhard Wolf, sembra invece procedere impavida verso un totale inserimento nelle nuove strutture culturali della RDT: dopo essersi laureata, accetta un posto di collaboratrice scientifica presso il Deutscher Schriftstellerverband, entra nella redazione di “Neue Deutsche Literatur” e nell’organico della casa editrice “Neues Leben”. L’autrice, che gode ormai di un certo prestigio, crede fermamente nella missione politica della letteratura e, soprattutto, cavalca con grande sicurezza la normativa del realismo socialista, stroncando con foga tutto ciò che non rientra nelle categorie del tipico e dell’esemplare -si veda come essa additi alla pubblica riprovazione Egon Günther, autore di un racconto ambientato nella RDT in cui compare non solo un ingegnere disoccupato ma anche un operaio menomato da un incidente sul lavoro e alla fine suicida; simili tragedie, nota la Wolf, “sono tipiche del mondo capitalistico, mentre contraddicono le tendenze fondamentali dell’evoluzione sociale della RDT”. Sebbene si possa supporre che la Wolf temesse che la lettura della RDT si avviasse verso un’anarchica capitolazione intellettuale, sta di fatto che il tono è perfettamente allineato a quel dirigismo intransigente che si era affermato dopo il ‘56.

Tra il ‘58 e il ‘61 parecchi sono gli intellettuali che emigrano nella Germania Federale: Bloch, Meyer, Johnson, per citare i più noti. Se si aggiunge che nel ‘56 era morto Brecht e nel ‘59 Becher, risulta evidente che la cultura nella RDT minacciava una stagnazione completa.

E’ proprio in questa situazione di crisi che la Wolf sente il bisogno di rielaborare le proprie esperienze, di descrivere il proprio passato e prendere in mano il filo di un discorso soggettivo calato in una dimensione individuale. Il suo stile sottintende la volontà di uscire dal percorso allora univoco e monologante dettato dalla politica socialista e guadagnare lo spazio aperto della dimensione creativa. Il primo prodotto di questo nuovo atteggiamento  la Moskauer Novelle (1959), che indubbiamente rivela ancora l’impronta didascalica del realismo socialista. La trama dell’opera si concentra infatti su un binomio tematico all’epoca ricorrente: la colpa collettiva dei tedeschi e la riconoscenza verso l’URSS, patria generosa del socialismo. Il racconto contiene già diversi elementi costitutivi dei romanzi successivi: un arco cronologico che investe il dopoguerra, un’azione centrata sull’esperienza di una protagonista femminile e una ricerca sulla transizione dal fascismo al socialismo che non utilizza la sequenza consueta (resistenza, esilio, trionfo del socialismo) ma che anzi è proiettata sui problemi del presente.

Nel 1960, ribadita l’alleanza tra gli intellettuali e le masse operaie e contadine, si sollecitano scrittori e poeti a immettersi nel processo produttivo, lavorando nelle fabbriche e nelle cooperative agricole per poter descrivere dal vero la realtà della produzione. La Wolf, che nel 1959 si trasferisce con la famiglia a Halle, fa la sua esperienza in una fabbrica di vagoni ferrioviari, inserendosi nel flusso storico e politico del progetto socialista.

Ciò che emerge da questo produttivo inserirsi nella realtà del lavoro è un romanzo derivato dall’esperienza vissuta in fabbrica: “una ragazza di campagna, che fa pratica in uno stabilimento presso una brigata difficile. Il suo amico è un chimico e alla fine lo perderà”.

Si profila dunque la trama di Der Geteilte Himmel (1963). Sarà la stessa storia, con il muro eretto nel 1961, a scagliare i personaggi sul crocevia della Germania divisa. E con il successo di questo romanzo la Wolf inizierà la sua carriera di libera scrittrice, trasferendosi a Berlino e abbandonando definitivamente le sue mansioni di funzionaria culturale.

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